“Dove e chi veniamo educati a interagire con la fauna selvatica? di Paolo Cognetti

Paolo Cognetti. (MATTIA BALSAMINI)

Non siamo soli, come canta Nick Cave alla fine di “The Snow Panther”, documentario con Sylvain Tesson e Vincent Munier. Altri oltre a noi abitano questo pianeta. Si nascondono, spesso nemmeno li vediamo. Ci spiano dietro una roccia, ci fiutano, perché hanno paura. Hanno imparato a vivere di notte per proteggersi dal più feroce abitante della Terra, dal più spietato assassino, dal tiranno dei mari e delle terre emerse: l’uomo.

Si parla molto in questi giorni in Italia di animali selvatici perché il 5 aprile, e per la prima volta, un giovane è stato aggredito e ucciso da un orso in Trentino mentre correva nel bosco. L’orsa di 17 anni è figlia di due esemplari “reintrodotto” – questo è il termine tecnico – nel 1999 nell’ambito di un progetto di ripopolamento. Cinque maschi e cinque femmine catturati in Slovenia, messi a dormire, trasportati in Trentino e liberati, nell’ambito di un nostro esperimento di bioingegneria, quelli che a volte vanno in testacoda. Infatti, nel 2024, questi orsi e i loro discendenti sono diventati troppo numerosi, circa un centinaio. Il Trentino è una regione montuosa ma densamente popolata: le Dolomiti suonano un campanello? Un giorno, un giovane esce di casa, va di corsa, incrocia la strada dell’orsa che, spaventata, lo attacca, forse perché i suoi cuccioli sono nelle vicinanze. Questo innesca subito un dibattito politico: la destra vuole il loro totale sterminio, la sinistra parla di cultura ambientalista e finalmente quest’orsa dovrà essere catturata e messa in una gabbia dove attenderà per sempre la sentenza. Se potesse parlare, forse ci chiederebbe: “ma quando smetterai di crederti padrone di tutto ciò che respira, come hai scritto anche nei tuoi testi sacri? »

C’è una cosa che non finisce mai di stupirmi: nel nostro Paese altamente urbanizzato, l’habitat degli animali selvatici, ovvero la foresta, occupa 11 milioni di ettari, ovvero circa un terzo della sua superficie totale. Dalla metà del XX secolo ad oggi è raddoppiato. Era un’epoca in cui il bosco ei suoi abitanti raggiungevano un livello storicamente basso: il legno veniva utilizzato per il riscaldamento, gli animali per l’alimentazione e, nelle Alpi, la maggior parte dei mammiferi era scomparsa. Non è quello che si legge nelle favole, ma per Heidi e suo nonno imbattersi in un cerbiatto era inimmaginabile perché nella prima metà del ‘900 gli uomini avevano mangiato di tutto. Nel dopoguerra la tendenza cominciò a invertirsi: le montagne si spopolarono rapidamente (in alcune valli si parla di un esodo dell’80% della popolazione in trent’anni), il tenore di vita aumentò, l’impatto della pressione antropica sulle la foresta è diminuita. Basta che l’uomo se ne vada perché le piante si impadroniscano subito della terra.

“L’orso, con il quale abbiamo giocato con il fuoco”

Per il ritorno degli animali, è un’altra storia. Lo stambecco, ad esempio, era sopravvissuto solo nel parco del Gran Paradiso perché quella era l’ex riserva di caccia del Re d’Italia. Da lì è stato reintrodotto in tutto l’arco alpino con lo stesso procedimento dell’orso. Lo stesso vale per cervi, daini, camosci e caprioli, talvolta provenienti dalla Germania, dai Balcani o da riserve faunistiche che fungono da allevamenti. Tutte queste operazioni sono state svolte in autonomia, senza alcun coordinamento, né dal Parco stesso né dalle associazioni venatorie, come è avvenuto per il cinghiale: si reintroduce una specie con l’unico scopo di poter cacciare, in altre parole per divertimento. Altre specie, come il lupo, se la sono cavata da sole. Il lupo, sopravvissuto nel Parco Nazionale d’Abruzzo, iniziò il suo ritorno nel dopoguerra. Settant’anni dopo si è diffuso in tutto l’arco alpino. Tanti animali sono sfuggiti di mano, come quei cani randagi incrociati con i lupi. O come quei cinghiali, introdotti per il piacere dei cacciatori, che sono diventati così invasivi che li vediamo scorrazzare per Roma in cerca di scorie. E infine l’orso con cui abbiamo giocato con il fuoco.

Noi italiani, cosa sappiamo di loro? Niente, direi. Eppure viviamo o dobbiamo vivere insieme. Dove siamo educati, e chi, ad entrare in relazione con la natura, questa felice novità di cui non abbiamo né memoria né cultura? La foresta occupa un terzo del nostro territorio, ma come conoscerla e visitarla?

A questo punto del mio racconto, vorrei segnalare quella che mi sembra un’assurdità: nel 2017, quando l’area del bosco è raddoppiata, nuove specie animali lo hanno popolato, e la convivenza tra uomo e fauna selvatica è stata diventando sempre più problematico (e interessante), il Corpo Forestier d’Etat fu abolito e fuso con la Gendarmeria per motivi economici. Comprendiamo oggi che avrebbe dovuto piuttosto essere rafforzato, che abbiamo un gran bisogno di un Corpo Forestale, qualunque sia il nome o lo status che gli viene dato, civile o militare. Non solo perché si prende cura delle nostre foreste, ma anche perché ci insegna a conoscerle. In modo che gli animali abbiano un po’ meno paura di noi.

Tradotto dall’italiano da Véronique Cassarin-Grand.

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Paolo Cognetti, espresso biologico

Nato a Milano nel 1978, Paolo Cognetti ha riscosso un grande successo con il suo primo romanzo, “Les Huit Montagnes” (Stock, 2017), vincitore del Premio Medici Stranieri, pubblicato in quaranta paesi e venduto 1 milione di copie in tutto il mondo. È anche autore di un taccuino di montagna, “Le Garçon sauvage” (edizioni Zoé, 2016), racconti di viaggio, “Senza mai raggiungere la vetta” (Stock, 2019) e “Carnets de New York” (Stock, 2020).

Elma Violante

Difensore della musica freelance. Pioniere del cibo. Premiato evangelista zombi. Analista.

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