Cosa pensano della nostra storia all’estero? Per i comunisti italiani l’agosto del 1968 fu un trauma

Certamente non ci sono molti bohémien nelle università del mondo. Ma c’è chi in questo ambito ha raggiunto il livello mondiale. Tra questi c’è lo storico italiano Francesco Caccamo. Qualche anno fa ha scritto un libro intitolato La Cecoslovacchia al tempo del socialismo reale. Regime, dissenso, esilio – cioè nella traduzione ceca: la Cecoslovacchia nell’era del socialismo reale. Regime, dissidenza, esilio, edito da Dante Alighieri a Roma.

Ricorda ad esempio che la storia cecoslovacca talvolta ha avuto effetti anche globali. Proprio come dopo la presa del potere dei comunisti nel febbraio 1948.

L’azione comunista eseguita con precisione e durezza fu un avvertimento non solo per i democratici in Italia, ma anche per esempio in Scandinavia. Contribuì anche a un significativo rafforzamento della cooperazione in materia di difesa, che alla fine portò alla creazione dell’Alleanza del Nord Atlantico nel 1949. Il febbraio cecoslovacco fu solo un avvertimento per le democrazie occidentali, che presero a cuore.

Il percorso inevitabile verso la totalità

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Subito dopo la guerra era chiaro che era solo questione di tempo prima che in Cecoslovacchia si instaurasse una dittatura comunista. Non c’era molto che i politici democratici potessero fare al riguardo. Naturalmente, ciò non significa che non abbiano commesso errori gravi.

Ciò vale soprattutto per i rappresentanti dei partiti politici, cioè socialdemocratici, nazionalsocialisti e populisti.

Rispetto a loro, il presidente Edvard Beneš ha avuto, nel tragico esito della crisi di febbraio, un ruolo molto minore di quanto gli attribuiscono alcuni pubblicisti, come aveva già sottolineato all’epoca la diplomazia italiana. Ma ciò non cambia il fatto che la Cecoslovacchia era controllata da una dittatura comunista e divenne una parte solida del blocco sovietico.

I contatti con gli Stati oltre la “cortina di ferro”, cioè con l’Italia, sono stati limitati al minimo. Ma ciò non significa che il Paese della penisola appenninica sia del tutto indifferente agli sviluppi del blocco avversario. L’interesse aumentò soprattutto nel momento in cui in alcuni paesi controllati dai comunisti stavano emergendo tendenze almeno in qualche modo indipendenti.

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Naturalmente i comunisti italiani mostrarono il massimo interesse per gli avvenimenti cecoslovacchi. Nel 1968, la Primavera di Praga divenne addirittura una delle questioni cruciali per loro, e l’invasione delle truppe del Patto di Varsavia nei giorni di agosto fu uno shock.

“Per la direzione del partito la decisione dell’Unione Sovietica e dei suoi alleati fu un trauma. Essa rispose all’intervento militare esprimendo una “ferma condanna”. Era la prima volta che i comunisti italiani esprimevano una posizione apertamente critica nei confronti di Mosca. fu senza dubbio un momento spartiacque che aprì la strada a tentativi sempre più forti di staccarsi dall’Unione Sovietica e portò a sforzi volti “ad un coordinamento sempre maggiore con gli altri partiti comunisti dell’Europa occidentale così come con gli altri partiti di sinistra”. negli anni successivi, costituirono la base del programma eurocomunista”, scrive. Caccamo.

Quale fu la successiva linea d’azione del Partito Comunista Italiano nei confronti della politica dell’Unione Sovietica? Ascolterete la ritrasmissione festiva del programma Ex libris, preparato da Ondřej Houska nel 2018.

Celio Bruno

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