Per molti è stato il campione del mondo di maggior successo della storia. Una costellazione di stelle unite da una causa comune: vincere la Coppa del Mondo. Il Brasile degli anni ’70 ha lasciato un segno indelebile nel calcio d’élite. Scelse di giocare da centravanti con cinque numeri 10 dell’epoca: Gerson, Rivelino, Jairzinho, Tostao e Pelé. E il destino ha voluto che la finale si giocasse con la sua antitesi: il catenaccio italiano, il sistema difensivo che primeggiava in quella decade degli anni ’60.
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Non è stato facile riunire così tante persone di talento. Ma ognuno era abbastanza intelligente da ricoprire ruoli diversi in campo da gioco. Gerson era il più ritardato nella sua posizione, a volte in un doppio cinque insieme a Clodoaldo, il centrocampista centrale. Rivelino, col suo bel piede sinistro, si appoggiava alla sua sinistra. Jairzinho, più avanti, era sulla fascia destra. E Tostao e Pelé, più liberi dentro, si scambiano di posto.
Questo 4-2-4 abbastanza elastico ha affrontato in finale l’Italia che ha mostrato il suo catenaccio, con libero e marcatura individuale. Ma nemmeno questo muro difensivo era in grado di contenere tanta magia. Il Brasile vinse 4-1 e segnò la fine di un’era in cui predominavano cautela e speculazione per iniziare un decennio in cui sarebbero emerse squadre puramente offensive, come l’Olanda del 1974.
Maglietta del Brasile 1970
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